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L’arte diplomatica del pontificato di Pio II

Rita Boarelli

Alcuni esempi dell’arte diplomatica
del pontificato di Pio II

(Canonica 6 – pag. 49)

Ho un ricordo ancora vivo dell’emozione vissuta nel 2009, quando ebbi il piacere di visitare per la prima volta l’Archivio storico diocesano di Matelica. Tra i tanti documenti conservati al suo interno e sopravvissuti a saccheggi e ad un tremendo incendio nel 1710, trovai due pergamene risalenti al pontificato di papa Pio II. Erano due bolle esecutorie che in molti consideravano perse e che riguardava la storia della nobile famiglia Maccafani, che a Matelica…

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>L’arte diplomatica del pontificato di Pio II

Il transito di Pio II da Fabriano verso Matelica nel 1464

Matteo Parrini

Il transito di Pio II da Fabriano verso Matelica nel 1464: una scelta ancora oggi avvolta nel mistero

(Canonica 6 – pag. 29)

«A dì X de luglio papa Pio partì da Fabriano per andare in Ancona. Fecie la via da 20 Matelica: et el signore conte venne a Ugubio». Laconicamente e senza troppa enfasi viene descritta la scelta della strada per Matelica per l’ultimo tratto che separava l’improbabile esercito crociato di Pio II verso il porto di Ancona. A scrivere queste righe, tra le poche di un contemporaneo su quel tratto dell’itinerario scelto, fu l’illustre notaio Guerriero Campioni da Gubbio, autore di una Cronaca di ser Guerriero da Gubbio dall’anno MCCCL all’anno MCCCCLXXII, scaltro personaggio cresciuto e vissuto tra Firenze, Milano e la corte dei Montefeltro.

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Il transito di Pio II da Fabriano

Angelo Pientini da Corsignano

Aldo Lo Presti

Angelo Pientini da Corsignano

(Canonica 6 – pag. 5)

Sul primo Bollettino Ufficiale del Comitato Centrale per l’Anno Santo del 1950, edito nel gennaio del 1949, è noto che lo studioso orvietano Pericle Perali ebbe modo di pubblicare una storia degli anni giubilari; al contrario, meno noto, perché apparso in veste anonima, è un altro contributo giubilare del Perali edito sul quarto fascicolo mensile di un similare Bollettino Ufficiale del Comitato Centrale, quello relativo all’Anno Santo del 1925 (uscito nel settembre del 1924) col titolo Doni e ricordi di Anni Santi.

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Il restauro delle statue della Chiesa di San Carlo

Lucia Chietti

Il restauro delle statue dell’altare
della Chiesa di San Carlo Borromeo

(Canonica 6 – pag. 129)

L’altare in stile barocco ubicato nella Chiesa di San Carlo Borromeo risale alla prima metà del 1600, il suo restauro avvenuto recentemente ha interessato soltanto le due statue policrome che si trovano all’interno delle nicchie. In origine gli altari avevano una struttura molto semplice, per assumere poi, nel corso dei secoli, forme sempre più elaborate, fino a divenire, soprattutto nel periodo barocco, complessi organismi architettonici caratterizzati da grandi edicole con doppio colonnato e fastosi apparati decorativi; nell’altare della Chiesa di San Carlo Borromeo non è stato raggiunto questo particolare livello di complessità, tuttavia si ritrovano gli elementi compositivi tipici di un altare monumentale.

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>Il Restauro delle Statue

CANONICA 6

Sono presenti nel sito anche i singoli articoli, raggiungibili dal menu ARTICOLI CANONICA o dai link dell’indice qui sotto.
copertina_6

Colombini Giampietro – Editoriale
pag. 1
..
Aldo Lo Presti – Angelo Pientini da Corsignano
pag. 5
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Romualdo Luzi – Pio II Piccolomini, Giovanni da Castro e la scoperta dell’allume
pag. 15
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Matteo Parrini – Il transito di Pio II da Fabriano verso Matelica nel 1464: una scelta ancora oggi avvolta nel mistero
pag. 29
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Rita Boarelli – Alcuni esempi dell’arte diplomatica del
pontificato di Pio II

pag. 49
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Maddalena Colombini – La tutela dei beni culturali nella legislazione papale del Rinascimento: il caso di Pienza
pag. 69
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Anna Ciolfi – Il Palazzo Massaini: note storiche e d’arte
pag. 85
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Alma Giovannoni – Il «Serpe di Pienza»: il dolce pientino per antonomasia
pag. 95
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Aldo Lo Presti – Il Podere nel Libro. Francesco Caroti al Capriola
di Monticchiello
pag. 101
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Lucia Chietti – Il restauro delle statue della chiesa di San Carlo Borromeo
pag. 129
.
Tra i libri
pag. 137

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Il Podere nel Libro

Aldo Lo Presti

Il Podere nel Libro
Francesco Caroti al Capriola di Monticchiello

(Canonica 6 – pag. 101)

Dal momento che «…per farsi un’idea precisa del carattere e dell’anima di un individuo che non si conosce, nulla havvi di meglio che dare uno sguardo ai pochi o molti libri da esso posseduti», cosa si poteva sperare di più, volendo e desiderando tratteggiare la biografia del “poliziano” Francesco Caroti (Montepulciano, 7 novembre 1897 – 19 ottobre 1974) che, come vedremo, dal 12 ottobre al 18 novembre del 1943, si fece, suo malgrado, “monticchiellese”, se non rintracciarne alcuni libri in una generosa rigatteria immersa nella campagna toscana?…

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>Il Podere nel Libro

Il «Serpe di Pienza»

Alma Giovannoni

Il «Serpe di Pienza»: il dolce pientino
per antonomasia

(Canonica 6 – pag. 95)

Il cosiddetto “Serpe di Pienza” è un dolce tipico pientino e forse, insieme ai ricciarelli, il più noto. È a base di mandorle tritate, zucchero e albume montato a neve.
All’impasto viene data la forma di un cilindro assottigliato alle due estremità e avvolto a spirale a simulare la postura di un serpentello dormiente. Ad una estremità,quella relativa alla testa, più grossa e di forma vagamente triangolare, vengono posti gli occhi incastrando…

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>lI Serpe di Pienza

Il Palazzo Massaini: note storiche e d’arte

Anna Ciolfi

Il Palazzo Massaini: note storiche e d’arte

(Canonica 6 – pag. 85)

Palazzo Massaini sorge sul crinale che separa la Val d’Orcia dalla Val di Chiana, a poco più di quattro chilometri di distanza da Pienza in direzione Montepulciano, in una posizione privilegiata per bellezza, storia e cultura. Un panorama straordinario, incastonato nel tempo, in cui forme e colori della natura cambiano con le stagioni, ricordando l’armonia dei dipinti della scuola senese. Il complesso si compone di vari fabbricati raggruppati intorno a una torre, che è l’elemento edilizio che caratterizza il castello…

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>Palazzo Massaini

Terremoti a Pienza

Umberto Bindi, Nino Petreni

Terremoti nella storia di Pienza e del territorio circostante

(Canonica 5 – pag. 5)

Gli studi sui fenomeni sismici nella storia d’Italia si sono susseguiti nei decenni e recentemente, con l’affidamento all’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia del coordinamento dei dati, si è giunti ad una omogeneizzazione delle rilevazioni, dei metodi di catalogazione e della compilazione di elenchi partendo da varie fonti storiche.
Ma se, grazie ai sismografi, l’attuale metodologia di rilevazione e di misurazione dei vari parametri per individuare e catalogare i terremoti ha raggiunto un alto livello di standadizzazione, le fonti storiche “pre-strumentali” si basano solo sulle esperienze dirette delle persone che hanno “sentito” le scosse, trovandosi in luoghi diversi …

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Per chi volesse approfondire l’argomento dei terremoti storici, allargando il suo interesse fino a Siena, ecco un interessante articolo sul terremoto del 1798, tratto dal sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

I terremoti nella STORIA: 26 maggio 1798, un terremoto di fine secolo XVIII a Siena >>>>

Inoltre, per aggiornamento, ecco una nota di Alessandro Amato, membro dell’INGV, sulla situazione attuale a Pienza >>>>

PARACARRI PIENTINI

I “paracarri” di Pienza
di Aldo Lo Presti

Interessarsi dei cosiddetti “paracarri” o “scansaruote”, veri e propri “strappi del passato” (per usare le parole di Gadda) e già utilizzati a Pompei per delimitare le vie pedonali, trova una doppia ragione nel loro essere “…parte del paesaggio urbano e allo stesso tempo testimonianza di cultura materiale”.[1]

Manufatti che però, alla stregua di ogni altro dettaglio paesaggistico urbano (come le diverse tipologie degli ormai del tutto inutili “nettascarpe”) la cui efficacia s’è ormai degradata, rischiano una non certo auspicabile invisibilità se non addirittura un’oggettiva distruzione a causa della loro “sommersione” per via di progressive asfaltature delle strade o dei cortili interni degli edifici.[2]

Si ricorda, a tale proposito, che i “paracarri” altro non sono se non quelle colonnette o piccole piramidi sistemati presso gli spigoli dei portoni per salvaguardarne l’integrità che veniva messa a repentaglio dai mozzi delle ruote dei carri che vi transitavano.

Tali “paracarri” erano fabbricati generalmente in pietra (oppure frutto di spoliazione e riutilizzo di antichi reperti romani, come nel caso di Venafro o Brindisi) ma anche in ferro o in ghisa, come quelli decorati con foglie d’acanto stilizzate[3] che sopravvivono presso l’ingresso di “servizio” del palazzo Piccolomini a Pienza.

La durezza e solidità del materiale dei “dissuasori” pientini, ha impedito la formazione dei tipici solchi causati dalle ruote dei carretti che vi urtavano ogni giorno (come non ha tralasciato di segnalare Proust nella Recherche); si tratta di una tipologia riferibile alla seconda metà del XIX sec., la stessa che si rintraccia, ad esempio, sia in via del Seminario a Roma,[4] e più precisamente all’altezza del numero civico 87, sia ad Orvieto a far da guardia al portone laterale del palazzo Gualterio di C.so Cavour.

La coppia di “paracarri” orvietani, esempio residuale di decoro cittadino modellato in fusione, e gli analoghi “gemelli” pientini, sono gli ultimi manufatti esistenti in metallo, muti e silenziosi testimoni di un’epoca di “buone maniere” (volenti o nolenti) quasi del tutto fuori moda.

E si scrive “quasi” per un estremo sussulto di ottimismo.

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[1] Colanzigari Olga, Guidi Alessandro, Archeologia del nettascarpe. La cultura sotto i piedi, in Atti del quarto convegno di Etnoarcheologia, Roma, 17-19 maggio 2006, Archaeoress Publischers of British Archaeologicl Reports, Oxford, p. 17.

[2]  Maroni Lumbroso Matizia, L’età del cavallo. Ricerche 1969-1976. Fondazione Marco Besso, Roma, 1977, pp. 9, 11, 12.

[3] «È a tutti noto il racconto che fa Vitruvio circa l’origine del capitello corinzio, attribuendone l’invenzione all’orafo Callimaco, che volle in un capitello imitare un cespo di acanto fiorito intorno ad un paniere […] L'abuso fatto in tutte le età, in Italia e fuori, della foglia d'acanto è dovuto non solo alla bellezza della pianta, ma soprattutto alla sua natura flessuosa, per cui può facilmente prestarsi, senza subire variazioni disarmoniche, alle decorazioni più varie». Vedi: http://www.treccani.it/enciclopedia/acanto.

[4] Maroni Lumbroso Matizia, L’età del cavallo…, op. cit., pp. 9, 11, 12.