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ARTICOLO RIVISTA “MEDIOEVO”

Su indicazione dell’amico Ciacci Cristiano, segnaliamo ai visitatori del sito un dossier su Pio II nel numero di maggio della rivista MEDIOEVO. Seguite il LINK che porta al sito della rivista.

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Numero 220
Maggio 2015

Nel numero di Maggio: Maria, Giovanni dalle Bande Nere, gli eserciti comunali, il Palazzo della Ragione, e il Dossier dedicato a Pio II.

 

 

CARTA ARCHEOLOGICA di PIENZA

Nel 2004, nell’ambito del progetto della CARTA ARCHEOLOGICA PROVINCIALE, veniva pubblicato il VI volume dedicato al territorio della nostra cittadina, curato dalla Dottoressa Archeologa Cristina Felici.

Il Centro Studi pubblica l’indice del volume; per chi fosse interessato è possibile acquistare il testo cartaceo presso la casa editrice Nuova Immagine di Siena oppure accedere (previa registrazione o con il proprio account facebook) al sito www.academia.edu seguendo il presente link; è disponibile l’intera versione in pdf, molto utile per fare ricerche all’interno del testo.

Indice carta archeologica Pienza

 

Abstract:

Le ricerche condotte sul territorio di Pienza dal 1996 al 2003 hanno rappresentato una fonte di notevole incremento nelle conoscenze archeologiche e storiche. Il forte potenziale è stato confermato e accresciuto dai risultati delle campagne topografiche. I ritrovamenti hanno permesso di giungere a una nuova lettura delle dinamiche del popolamento delle società che si sono succedute dal Neolitico alla tarda età medievale. Sul fronte della ricerca, le prospettive dell’applicazione di nuove tecnologie all’indagine archeologica può trovare in un contesto quale quello di Pienza la giusta base per ulteriori esperienze.

ISBN 88-7145-201-1
I edizione: Maggio 2004
Pubblicazione a cura dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione
e alle Culture
Assessore: Gianni Resti

Coordinamento editoriale:
Antonio De Martinis

Realizzazione editoriale:
nuova immagine editrice
via San Quirico, 13
I-53100 Siena

LA DISPUTA SULL’ANTICA PIEVE

Il Centro Studi ha recuperato un articolo citato da tuti i testi e le guide che si occupano dell’antica chiesa romanica, articolo redatto per un convegno di oltre trenta anni fa e pubblicato nel 1985 da Colosci di Cortona. Si tratta del saggio della Professoressa Maria Grazia Paolini dal titolo “Un edificio di origini altomedievale dell’antica diocesi aretina” presentato al convegno del 1983 su Arezzo e il suo territorio nell’Alto Medio Evo.

L’edificio della lontana diocesi aretina non è altro che la nostra Pieve di Corsignano, citata in documenti anteriori al Mille nella disputa tra i vescovati di Siena e Arezzo, di cui la Paolini presentò un approfondito studio di quarantotto pagine ed a cui attingeranno altri autori per i loro testi, saggi e guide sull’argomento.

Rendiamo quindi omaggio alla studiosa pientina pubblicando la riproduzione in formato pdf del suo intervento, copia ottenuta dalla collaboratrice della Biblioteca Hertziana Sig.ra Ulrike Voss che ringraziamo (www.biblhertz.it).

L’intera pubblicazione degli atti è ancora in commercio grazie alla casa editrice Olschki raggiungibile all’indirizzo www.olschki.it.


Scarica il testo Pieve_di_Corsignano.pdf


Pieve di Corsignano
La curiosa bifora con cariatide della facciata della Pieve di Corsignano

IL DEPOSITO DELL’ACQUEDOTTO

Prendiamo spunto dalla mostra PIENZA NASCOSTA realizzata dal Gruppo Fotografico Pientino nel dicembre 2014 per pubblicare questo breve articolo sul deposito dell’acquedotto, che ci arriva da Orvieto. Le foto inedite degli interni, “nascosti” per decenni alla vista dei non addetti ai lavori, sono state esposte per la prima volta nella mostra citata, suscitando interesse e curiosità; le riproponiamo a corredo del contributo di Aldo Lo Presti e dell’introduzione di Umberto Bindi.

A chi si avvicina a Pienza, provenendo da Siena, la solitaria torre in pietra arenaria contenente i depositi dell’acqua appare improvvisamente, sovrastante la schiera di villette liberty che conduce al centro storico; villette costruite probabilmente negli stessi anni ’20 del Novecento. Da fuori la torre si presenta come una solida costruzione, la cui funzione non è immediatamente comprensibile.

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CROLLO DEL MONUMENTO AI CADUTI

Giovedi 5 marzo, a causa del fortissimo vento che ha sradicato vari alberi, è stato distrutto il monumento ai caduti della prima guerra mondiale nel giardino di Piazza Dante Alighieri. Una grossa conifera alta più di quindici metri è rovinata sul monumento, che è stato ridotto in pezzi.

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L’albero caduto sul Monumento.

Oggetto di un probabile progetto di restauro in occasione della ricorrenza dei cento anni dall’entrata in guerra dell’Italia, il monumento ha subito invece l’amara sorte della distruzione.

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Le rovine del monumento

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SANT’ANGELO IN COLLE

SANT’ANGELO IN COLLE
A guardia dei confini di Siena in età Medievale

Il Centro Studi Pientini allarga i suoi orizzonti per arrivare ai confini della Val d’Orcia, sui baluardi di Sant’Angelo in Colle, pubblicando in anteprima il testo integrale della presentazione di Mario Ascheri del libro di Anabel Thomas, che sarà presentato a Sant’Angelo venerdi 27 marzo 2015 alle ore 18.30. Ringraziamo l’autrice per il materiale che ci ha inviato e speriamo presto di averla tra gli autori della nostra rivista Canonica, con i suoi testi e le sue approfondite ricerche storiche.

Presentazione di Mario Ascheri

copertina_thomasQuando ho ricevuto l’edizione inglese del libro che qui presentiamo in lingua italiana ebbi un attimo (lungo) di ammirazione e di invidia. Che l’editoria inglese sia in grado di pubblicare studi analitici come quello di Anabel Thomas su un paese della bella Toscana (in particolare tra Duecento e Trecento) per di più neppure compreso entro i confini del Chiantishire mi apparve subito una cosa enorme. Anche per l’eleganza del volume, rilegato con sovra-coperta a colori e una serie di belle illustrazioni, anche a colori, nell’interno. Da noi sarebbe difficile un’impresa del genere, e molto. Alla fine ho trovato un insieme di concause, a parte la evidente maggiore fiducia nel futuro dell’editoria inglese (che ha anche generosamente concesso i diritti per la traduzione), evidentemente operante oggi in un contesto assai meno problematico del nostro.

La prima concausa è che Sant’Angelo è in un’area che grazie alla viticoltura in pochi decenni ha saputo scalare varie graduatorie a livello mondiale. ‘Agricola’ si può dire quell’area, certo, ma allora la si deve qualificare per non far prendere lucciole per lanterne. E con il vino raffinato anche il suo ambiente ne è risultato esaltato. Certo non migliorato, perché bellissimo era anche prima, ma da esser ‘visto’ per quello che merita, con occhi più attenti, con ammirazione crescente. La seconda concausa è che l’Autrice è donna colta, ben nota agli storici dell’arte per le sue precedenti
monografie (The Painter’s Practice in Renaissance Tuscany, Cambridge 1995, e Art and Piety in the Female Religious Communities of Renaissance Italy: Iconography, Space and the Religious Woman’s Perspective, New York-Cambridge 2003), che aveva già manifestato la sua predilezione per la Toscana e per l’area di Montalcino in particolare (anche collaborando a Prima del Brunello. Montalcino una capitale mancata, da me curato con V. Serino per il Lions Club di Montalcino e ora in attesa di riedizione), facendone anche un luogo di soggiorno – ma non trascurando Londra e i familiari in Australia…

Ebbene, questa edizione è un regalo che Anabel ha voluto fare alla comunità che la ha accolta: evidentemente con qualche successo!

Il suo libro inglese ricco di dati, fitto di nomi per favorire ulteriori ricerche, qui è stato quasi travasato trattenendo nell’edizione originale l’erudizione per i volenterosi lettori, importante per la Tavola delle possessioni senese del 1320 e i molti dettagli che ne ha ricavato in particolare per la topografia antica dell’area (viabilità compresa) ma anche sul mondo delle donne medievali: mogli, vedove, zitelle e figlie nelle loro variegate prospettive sono qui collocate nel micro-contesto di un castello (per tanto tempo di confine) della Repubblica di Siena, non senza attenzione a ogni altro dato della vita sociale, religiosa ed economica. Sant’Angelo si erge in una splendida posizione dirimpetto all’Amiata, nell’attuale territorio comunale di Montalcino, e vicino all’abbazia di Sant’Antimo, ed è qui studiato soprattutto per il periodo noto (già anticamente) come dei ‘Nove’ dal numero dei componenti della giunta di governo a Siena, grazie alla ricchezza del materiale documentario conservato pubblico e privato (come i preziosi testamenti notarili).
Ma molto ci dice la Anabel anche per il periodo precedente, a partire dagli anni intorno al 1200, perché per la sua posizione assolutamente strategica, a dominare la confluenza dell’Orcia con l’Ombrone, fu molto desiderata la sua acquisizione da parte del governo di Siena, che già si era spinta alle pendici dell’Amiata con Seggiano e Porrona. Sant’Angelo, tra Argiano e Camigliano e con loro sottoposte a Siena già in un famoso documento del 1208, era preziosa perché poteva consentire di controllare e infine debellare la potente Montalcino, che continuava a dar pensieri a Siena, come ben si vide in occasione di Montaperti (1260): con essa Sant’Angelo ebbe infine una confinazione arbitrale nel 1318, che non mise tuttavia fine alle controversie ricorrenti tra le due comunità. Perciò, come bene prova questa trattazione, cittadini ed enti senesi (dal Santa Maria della Scala al Monna Agnese, al convento di S. Agostino, ma non solo) ebbero una presenza privilegiata a Sant’Angelo, circostanza che aiuta anche a spiegare la persistenza di documentazione non più conservata invece per molte altre comunità senesi.
La Thomas con il suo gran lavoro su questa documentazione ci ha così fornito uno studio praticamente unico per il Senese, e non solo per una comunità di dimensioni così contenute come Sant’Angelo. La sua conoscenza dei luoghi, favorita dalla residenza abituale, le ha consentito una ricostruzione dell’ambiente davvero encomiabile, mediante lo studio senza riserve e con caute deduzioni delle ‘poste’ catastali dei circa 300 proprietari censiti nella Tavola o risultanti altrimenti.

Non solo le emergenze architettoniche e i resti delle antiche mura sono state censite sul terreno, ma il sistema agrario, con interessanti spunti sulla contrattazione mezzadrile – ribadita come ancora molto elastica in quel tempo -, le colture (vitivinicole soprattutto), l’approvvigionamento idrico (sempre difficile in queste aree elevate) e la viabilità – importante anch’essa in qualche modo qui per la incredibile transumanza verso la Maremma (e motivo della diffusa lavorazione delle pelli in quell’area).

Le sedi delle istituzioni sono state grosso modo individuate nonostante le profonde trasformazioni subite nel corso dei secoli dall’abitato interno al castello per la crisi demografica iniziata con il primo Quattrocento: a partire dalla residenza comunale e quella del podestà come pure delle famiglie più cospicue, presenti anche in un castello minore come questo per i motivi ricordati. Le due chiese interne, di
San Michele Arcangelo (parrocchiale) e di San Pietro, e le comunità religiose e assistenziali (‘case’ e ospedali), peraltro scarsamente sopravissute e con nuovi ‘titoli’, sono seguite attentamente nel Trecento soprattutto, in modo da rilevare le direzioni della carità e delle devozioni, ben differenziate pur in una comunità come questa, documentata come socialmente stratificata per quanto minore, fino a dedicare un’attenzione inconsueta (in un libro di questo genere) alle opere d’arte sopravvissute. L’autrice è stata qui aiutata e incoraggiata dalle sue competenze specifiche, riuscendo perciò anche in questo ambito a dare un contributo originale molto utile per la storia dell’arte – ovviamente senese soprattutto.
Non è infatti soltanto Sant’Angelo che viene illustrata dalla Thomas, ma un’intera,
vasta, area (con Montalcino in primo luogo, naturalmente) e per tematiche complesse, che hanno già impegnato generazioni di studiosi. Il fatto è che qui siamo vicini a un’area signorile con potenti presenze, come quella degli Aldobrandeschi sull’Amiata, ma anche degli Ardengheschi – studiati da Patrizia Angelucci con un libro cui ho dedicato una nota caricata in academia.edu -, la cui bella abbazia di famiglia, poco nota, è assai vicino a Sant’Angelo.

Il contesto complessivo è stato oggetto di ampie indagini della compianta Odile Redon – il cui Spazio di una città ha anticipato per tanti versi il mio quasi contemporaneo Spazio storico di Siena (2001). Un’area che ha tratto beneficio da realtà importanti vicine – come San Salvatore dell’Amiata e Sant’Antimo naturalmente – e meno vicine come Montalcino e Siena, ma destinata a perdere il suo rilievo militare nel corso del Quattrocento, quand’ormai Siena era saldamente attestata a sud, da Radicofani a Arcidosso a Grosseto.

Perciò anche Sant’Angelo declinò sul piano demografico e politico. La grancia del Santa Maria della Scala fu addirittura venduta a un Sansedoni e fecero la comparsa, dopo i Tolomei, i del Ciaja e soprattutto i Brogioni che, aiutati dal Papato, s’impadronirono addirittura di parrocchia e ospedale. Mentre Poggio alle Mura diveniva proprietà signorile e Sant’Antimo veniva inglobata entro il vescovado di Pienza-Montalcino, in quel secolo svettava ormai nell’area la nuova capitale, la seconda Siena, cioè Montalcino.

Dal Medioevo all’età contemporanea l’abitato del castello si è ridotto a un terzo di quello dei tempi d’oro, anteriori alla grande peste e ha perduto i ‘servizi’ di cui prima disponeva. Ma un’antica cultura di decoro, di amore per il bello sopravviveva. Ne danno atto le pur danneggiate opere a fresco residue o la bella Madonna del 1346 come pure le infinite vicissitudini della Madonna della Misericordia, la cui odissea è stata ricostruita con incredibile passione dalla Thomas.

Tutto questo fu possibile perché erano terre divenute povere ma non ignoranti. Terre che conservarono, nonostante tutte le difficoltà, il gusto per il bello. Lo stesso declassamento fatto con cura cui tante strutture edilizie sono state sottoposte nel corso dei secoli e la persistenza dei residui di emergenze monumentali antiche attestano un’attenzione antica, ben radicata, all’ambiente, alla convivenza rispettosa dell’ordine gradevole.

La mezzadria e l’allevamento del bestiame prima e il Brunello poi, realtà pur così diverse sul piano economico, hanno sempre attratto investimenti in questa terra foelix. Con suo centro il castello dai magnifici affacci su campagne poco abitate ma fertili, e sempre tanto marcate dalla presenza del lavoro.


 

L’autrice

Anabel Thomas e’ l’autrice di due monografie pubblicate dalla casa editrice Cambridge University Press, (The Painter’s Practice in Renaissance Tuscany [1995] e Art and Piety in the Female Religious Communities of Renaissance Italy [2003]). La Thomas ha recentemente pubblicato Garrisoning the Borderlands of Medieval Siena: Sant’Angelo in Colle, Frontier Castle under the Government of the Nine (1287-1355) [Asgate Publishing, 2011]. La Thomas ha anche pubblicato diversi saggi critici sia in Inghilterra, negli USA e in Italia (sull’Antichita`, l’Arte Cristiana, la Critica d’Arte).

Dopo anni di carriera da insegnante universitaria, fra i quali alcuni trascorsi nei dipartimenti di Storia dell’Arte dell’Universita’ di Reading, dell’Universita’ di Cambridge, dell’Open University e dell’Universita di Londra (Birkbeck College Art History Department), Anabel Thomas vive ormai in Toscana da quindici anni. Continuando le sue ricerche, le sue pubblicazioni recenti sono ‘Tracking Female Religious Communities in the Southern Sienese Contado: The Benedictines and Franciscans of Early Modern Radicofani’, in L’Ultimo secolo della Repubblica di Siena: Politica e istituzioni, economia e societa`, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2007; ‘Le fratesse e le mantellate terziarie della corte di Montalcino nel basso medioevo’, in Prima del Brunello: Montalcino Capitale Mancata, a cura di Mario Ascheri e di Vinicio Serino, Documenti di Storia, collana a cura di Mario Ascheri, 75, San Quirico, editrice DonChisciotte, 2007 e ‘Cosa c’e` dietro il nome? Le vecchie fonti di Montalcino e Sant’Angelo in Colle: acqua, localita` e toponomi’, nel Gazettino e Storie del Brunello e di Montalcino, 1 Anno No. 7, luglio, 2007. Thomas ha anche pubblicato diversi articoli nella Rivista Orcia, l’organo pubblicitario dell’Associazione Orcia per la Preservazione del Patrimonio e delle Tradizioni della Val d’Orcia. In questo contesto la Thomas ha assunto il ruolo di consigliere culturale della associazione Orcia nel comune di Radicofani. Thomas ha anche pubblicato uno testo in italiano e inglese, Oscar’s Tale: The Siege of Montalcino, 1553-59, Annibale Parisi, Montalcino, 2011, presentato a Sant’Angelo in Colle e dedicato al suo nipote Oscar. Ha anche pubblicato di recente ‘Filling the Void: Reconstructing the Chapel of the Bombardiers in the Fortezza at Radicofani’, il quale fa parte dei Quattro volumi ‘Honos Alit Artes’ in honore del settantesimo compleanno del Professore Mario Ascheri, 2014.

IL PLATINA

platinaIL PLATINA
L’Umanista gastronomo di Pio II
(Le pietanze papali)

di Fabio Pellegrini

E’ uscito il saggio sulla figura di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, personaggio della “corte umanista” di Pio II. Saggio che segue gli scritti dello stesso Pellegrini sul Cardinale Iacopo Ammannati e su Niccolò Forteguerri.

Con la prefazione di Marco Montori, il nuovo testo racconta “dell’umanista, dell’abbreviatore di Pio II, con la passione della gastronomia. Non un cardinale ma un funzionario virtuoso nel campo delle lettere, con una sua geniale e imprevedibile personalità ma legato, come gli altri due, alla sua memoria da un vincolo fortissimo di ammirazione e di gratitudine”, come si legge nella prefazione di Giampietro Colombini.

Il volumetto in formato tascabile esce per i tipi della Editrice DonChisciotte ed è composto da 120 pagine. ISBN 978-88-88889-52-8

In copertina: Melozzo da Forlì, Il Platina riceve dal papa Sisto IV le chiavi della Biblioteca Vaticana.

IL SERPENTE E LA COLOMBA

IL SERPENTE E LA COLOMBA
(di Aldo Lo Presti)

L’articolo proposto da Aldo Lo Presti per la sezione “curiosità” del sito, riguarda un bassorilievo collocato in maniera del tutto estemporanea in una facciata del centro storico di Pienza. L’architrave in arenaria proviene, con molta probabilità, dalla chiesa di S. Maria; l’antica struttura romanica fu demolita nella metà del ‘400 per fare spazio allo costruzione del Duomo. Alcuni resti, riportati alla luce dall’ing. Barbacci nel 1932 durante l’imponente restauro della Cattedrale, furono collocati nella sottostante cripta di San Giovanni; altri frammenti si erano probabilmente dispersi nei secoli precedenti, utilizzati come materiale da costruzione (forse anche dello stesso Duomo e del Palazzo Piccolomini). Il frammento in oggetto è collacato in una facciata realizzata durante il secolo scorso, per cui potrebbe aver fatto parte di quelli rinvenuti dal Barbacci nel ’32.

Non solo i grandi (o piccoli) monumenti rendono le città parlanti, contribuendo a raccontarne la storia attirando su di sé gli sguardi dei cittadini. Altri segni, definibili minori, quando non addirittura minimi, assumono su di sé la medesima funzione. Come nel caso della Colomba nella bocca del Serpente e le palme della Passione, simbolo zoomorfo della Prudenza e della Semplicità scolpito in un bassorilievo erratico proveniente, con ogni probabilità, dalla Chiesa di Santa Maria prisca. A risolverci in questa direzione è stata la lettura del seguente brano che ha risolto ogni dubbio iconografico legata alla nostra raffigurazione:(1)

…il secondo testo sacro che parla del simbolismo del serpente nei pastorali, è quello con il quale Gesù nel Vangelo prescrive ai suoi di essere prudenti come il serpente e semplici come la colomba (San Matteo, Vangelo, X, 16): la Prudenza, figlia della Sapienza, la Semplicità, la Rettitudine sono in effetti, le qualità necessarie a coloro che hanno il carico delle anime. Qui, ancora una volta, il simbolismo cristiano dà la mano ai simbolismo più antichi che facevano del Serpente l’ideogramma della Sapienza. Su molti celebri pastorali possiamo vedere la colomba appollaiata sulla testa o persino rifugiata nella bocca del serpente, ad esempio nel pastorale dell’Abate sant’Annone di cui ha parlato P. Chaier, dove sembra che il vecchio orafo che lavorò questo bastone abbia voluto ricordare al prelato a cui il bastone era destinato, che le sue parole dovevano essere semplici, dolci e prudenti. Nel Medioevo, il simbolismo del pastorale era meglio conosciuto di quanto non lo sia oggi. Esso deriva dal precetto impartito da San Paolo a Timoteo: Riprendi, minaccia, esorta con gran pazienza e sempre istruendo (San Paolo, II Epistola a Timoteo, IV, 2).

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L’architrave con il serpente e la colomba. Sotto il disegno “a filo di ferro” per evidenziare il contorno.

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Dall’Enciclopedia dell’Arte Medioevale dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani (1998), traiamo un secondo brano particolarmente illuminante che contribuisce a rendere la nostra iconografia ancor più intelligibile:

…il pastorale di S. Annone […], l’arcivescovo di Colonia (1056-1075) e fondatore dell’abbazia di Siegburg, fu rinvenuto, secondo la tradizione, nel suo sarcofago nel 1183; l’asta in legno rosso presenta un’iscrizione disposta sui due collarini metallici intorno al nodo: Tytyre coge pecus cecos ne ducito cecos / moribus esto gravis rector fore disce suavis / astu serpentis volucris tege simpla gementis; il tutto è sormontato da un riccio in avorio del sec. XI (forse eseguito prima del 1075) che forma esattamente un mostro dalla testa ricurva nell’atto di inghiottire un uccello.(2)

In tal modo il serpente non è solo lo strumento diabolico per far penetrare la morte nel mondo, così come narrato da Herrada de Landsberg, abbadessa del monastero di Hohenburg in Alsazia, nel suo Hortus deliciarum («Così fa il Cristo, il quale, alla fine della propria vita mortale, depone in certo qual modo la propria anima per discendere nella morte che è penetrata nel mondo ad opera del serpente; in questo modo egli distrugge i peccati degli uomini e le loro funeste conseguenze»)(3) ma anche, se non soprattutto, il simbolo della prudenza. Un simbolo che sintetizza, in base alle parole già ricordate di Matteo, la funzione esortativa del nostro bassorilievo (del tutto congruo per stile e materiale costruttivo con altri frammenti lapidei conservati presso il tesoro della cattedrale): «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe». Un passo che concorre, come detto, a farci meglio comprendere non solo l’allegoria del pastorale d’avorio di S. Annone (a riunire felicemente in una prospettiva di salvezza eterna entrambi gli animali, la colomba e il serpente) ma anche quella d’una ritrovata e ancor più dolce calamita di Pienza (visibile all’altezza del numero civico 4 di via dell’Angelo).

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L’architrave della porta maggiore dell’antica chiesa romanica di S. Maria, con scene bibliche.

(1) Charbonneau-Lassay Louis Il Bestiario di Cristo. Edizioni Aikeios, Roma, 1994, p. 417.

(2)THURRE D., Pastorale, in Enciclopedia dell’Arte Medioevale, http://www.treccani.it

(3)http://www.webalice.it/paolorodelli; http://www.treccani.it/enciclopedia.

MARIO LUZI E DON FERNALDO FLORI

Riceviamo e pubblichiamo l’articolo appena uscito su Toscana Oggi a firma Nino Petreni, sull’amicizia tra Mario Luzi e Don Flori

PIENZA – MARIO LUZI, DON FERNALDO FLORI, UN’ AMICIZIA NELLA POESIA E NEL VANGELO

Si è appena chiuso il 2014, e Pienza, dopo aver partecipato alle celebrazioni del primo centenario della nascita di Mario Luzi, (1914 – 2014), si appresta a celebrare il centenario della nascita di don Fernaldo Flori (1915 -2015), legato a Luzi da grandissima amicizia e stima. “Con lui, scrisse Luzi, divenimmo compagni fraterni fino alla sua ultima giornata”, (10 febbraio 1996).

Fu proprio don Flori, tramite chi scrive, che di Luzi era allievo a Scienze politiche a Firenze, ad invitare Mario Luzi a Pienza; ed il poeta accettò prontamente l’invito di “quel prete che qualche tempo prima mi aveva inviato una bella lettera, così attenta e acuta sulle mie ultime poesie e soprattutto su “Ipazia” che era stata rappresentata a San Miniato.

E tra il sacerdote amiatino, che aveva dietro di sé molta cultura teologica, filosofica, letteraria, scabro e ruvido nell’aspetto, ma pronto al sorriso, alla tolleranza, in possesso di fine ironia e di una straordinaria umanità, dalla figura imponente e ieratica, ed il poeta fiorentino, mite e quasi aristocratico, nacque una profonda, intima, fraterna, amicizia. Quasi coetanei, (don Fernaldo era nato soltanto due mesi dopo Luzi, esattamente il 3 gennaio 1915 ad Abbadia San Salvatore), tra questi due uomini di grande cultura, che si incontrarono in età avanzata, scoccò una sorta di scintilla, che non si spense mai e che andava oltre il periodo estivo di Pienza.

Quelle settimane di luglio e agosto, scrisse Luzi, nell’introduzione al libro di don Flori “Crogiolo Perenne”, edizioni Piemme, 1998, erano per me settimane di lavoro concentrato e di studio, mentre lui, grande conoscitore delle scritture e inesauribile lettore di testi antichi e moderni e dei loro commenti, non dimenticava, sentiva profondamente di essere prima di tutto un sacerdote e assolveva con diligenza e umiltà la sua missione nel quotidiano. Ma erano quelle anche settimane di conversazione nelle pause, sotto i lecci del parco in compagnia di Leone Piccioni, don Ivo Petri, Carlo Bo, Carlo Betocchi, Geno Pampaloni, Mario Specchio, Mario Guidotti, Gianni Carchia, Annamaria Murdocca, e di tanti altri amici, o durante le silenti camminate di giorno e di notte, fuori e dentro il recinto del Seminario”.

Si intendevano a cenni, si capivano con lo sguardo in piena confidenza e dialogo. Il colloquio nelle estati pientine, proseguiva come detto, per tutto l’anno, con telefonate quotidiane, e scambio di preziose lettere ricche di profondi spunti e riflessioni, e tutti e due attendevano l’appuntamento dell’anno successivo, sempre nelle quiete del Seminario pronto ad accogliere “i due rabdomanti della verità”, come scrisse Mario Specchio, raffinato poeta, scrittore e germanista di valore, autore del volume: “Mario Luzi- Colloquio con Mario Specchio” edito da Garzanti nel 1999. Il poeta a Firenze, preparava per tempo i suoi strumenti di lavoro, le carte, i libri occorrenti e l’immancabile macchina da scrivere Olivetti, mentre il sacerdote, un mese prima, incominciava ad allenarsi, dopo il “letargo invernale”, in progressive camminate per tenere testa alle lunghe leve di Luzi, da sempre un grande camminatore.

Nel Seminario Vescovile di cui don Flori era il Rettore, di fronte mirifico e luminoso paesaggio della Val d’Orcia, alle pendici del Monte Amiata, la montagna che Luzi aveva ammirato adolescente dalle finestre del Liceo Enea Silvio Piccolomini di Siena, e della quale aveva scritto una bella e rara prosa dal titolo, appunto “Il monte Amiata”, ora felicemente ripubblicata nell’ultimo volume luziano, curato da Stefano Verdino: “Prose”, uscito da Aragno nel 2014, Luzi ha scritto belle poesie, che sottoponeva prontamente al giudizio del Flori da lui definito: il mio migliore lettore e il più generoso”.

Ecco quindi, dal riposo creativo pientino di Luzi, uscire via via opere importanti, quali: “Il viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, del 1994, ma anche tante belle poesie ispirate alla Val d’Orcia e a don Flori, tra le quali: “‘Eglise” (dedicata appunto a Fernaldo Flori), “Pasqua orciana”, che ricorda le celebrazioni liturgiche del sabato santo al monastero di S. Anna in Camprena, di cui don Flori era il parroco, e “Dalla finestra di F. Flori”, della raccolta “Floriana”, inserita nel volume “Dottrina dell’estremo principiante” Garzanti, 2004.

Dicevamo di una pura amicizia di un rapporto ispirato e solidificato nella comune identità cristiana, nel Vangelo.

Scrive Luzi di don Flori: era un uomo disponibilissimo, era un uomo per cui il mondo era aperto, e anche la verità non risiedeva in una formula o in un canone esclusivo ma era invece in continuo accrescimento, in continua verifica, e su questo si concordava. Nel Vangelo vedevamo un motore, cioè un punto di mobilitazione dello spirito, non di acquiescenza. E questo ci ha molto unito. Era molto facile accordarsi con lui, io ho imparato molto perché lui sapeva tanto più di me, specialmente nelle faccende dei Padri della Chiesa. E’ il prete che m’ha dato sempre l’impressione dell’uomo che non celebra, non commemora, ma attua, mette in atto, è in atto, il cristianesimo vero è in atto”.

Belle e sentite le parole del grande poeta per l’amico sacerdote, il quale in un volumetto celebrativo preparato dagli amici pientini, per gli ottanta anni di Luzi, (1994): “Questa terra…. quella luce” scrisse, “la tua poesia è eminentemente augurale, purgatoriale, ascendente…. Buon viaggio ancora: terrestre e celeste”.

L’importantissimo centenario luziano, ci auguriamo contribuisca a celebrare degnamente anche quello di don Fernaldo Flori, la cui figura di teologo e poeta, è ancora pienamente da scoprire. Le sue opere, una raccolta di circa sessanta tra quaderni e agende che Flori riempiva con riflessioni e commenti, prose, versi sparsi in frammenti o custoditi in poemetti di varia natura, (perenne crogiuolo di intuizioni e invenzioni, come li definì Luzi), sono infatti da tempo oggetto di studi accurati da parte di don Giorgio Mazzanti, poeta anche lui e amico comune di Luzi e don Flori. Mazzanti, che insegna Teologia Sacramentaria presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma, dopo aver curato la pubblicazione di due volumi di don Flori: “Quaderni 1990 – Teologia, Filosofia, Poesia”, cittadella Editrice, 2011, e “L’amore risorto – Meditazioni sul mistero pasquale” Edizioni Feeria, Comunità di San Leolino, 2014, sta lavorando con vera passione di intellettuale studioso e sacerdote alla pubblicazione dei diari dal 1944 al 1990 di don Flori, da lui definito “il solitario profeta, che dal suo eremo di silenzio e di avvistamento, ha guardato insieme il cuore dell’uomo e quello di Dio nel loro conflittuale e nostalgico relazionarsi. Ansia di bellezza e di totalità, di santità e verità, di Poesia”,. Nella sua analisi critica Giorgio Mazzanti, ha evidenziato l’importanza del pensiero di don Flori nell’opera di Mario Luzi. Del resto di questa influenza, di questo rapporto osmotico, tra i due, ne ha parlato anche Mario Specchio nel suo libro “Colloquio” sopra citato a proposito del “Viaggio Terrestre e celeste di Simone Martini”: Ricordo, dice Specchio a Mario Luzi, che il fantasma, per così dire, di Simone e del suo ritorno fu argomento, una sera a Pienza, di una tua conversazione con don Fernaldo Flori, qualche anno prima della realizzazione del libro. Se non sbaglio la prima idea ti era apparsa sotto forma teatrale, poi ha assunto il volto di questo viaggio, al quale forse proprio quella prima individuazione ha trasmesso l’originale intreccio di lirica narrazione, o potremmo dire di poema disteso sostenuto da un robusto ductus narrativo.

Anche Leone Piccioni, cittadino onorario di Pienza come Luzi, nel suo volume di critica letteraria “Vecchie carte e nuove schede” Nicomp Saggi, 2011, ebbe a scrivere: “chi ha studiato e studia la grande opera poetica di Luzi, potrà capire come in una importante svolta della sua poesia abbia influito la conoscenza e la conversazione con don Flori ed anche i tanti consigli che il sacerdote dava a Luzi anche relativamente a nuove letture.

Per le celebrazioni del centenario di don Flori con Convegni e incontri di studio, sulla sua opera, a Pienza si sta costituendo un Comitato, tra i primi aderenti, oltre a Giorgio Mazzanti, e Leone Piccioni, ci cono Daniele Piccini, Davide Rondoni, Andrea Fagioli, Carlo Prezzolini, Fernanda Caprilli, Cristina Naldi e Maria Modesti.

Nino Alfiero Petreni

LUZI FLORI_libro

Fernaldo Flori nacque il 3 gennaio del 1915 ad Abbadia San Salvatore (Siena), da una famiglia di minatori.

Ancora fanciullo scese a Pienza per entrare nel Seminario Vescovile dal quale non si sarebbe più distaccato fino alla sua morte, avvenuta improvvisamente la mattina del 10 febbraio del 1996.

Divenuto sacerdote nel 1939, sempre nel Seminario, iniziò la sua missione di insegnante e maestro per molte generazioni di sacerdoti, assumendo per tantissimo tempo il ruolo di Vice Rettore e poi di Rettore fino alla chiusura del Seminario. Oltre alla sua attività di insegnate, è stato per cinquanta anni parroco di S. Anna in Camprena e per quaranta di Cosona. Piccole parrocchie di campagna alle quali don Flori seppe legarsi profondamente instaurando nel tempo un bellissimo rapporto umano e pastorale con i pochi parrocchiali: contadini, pastori, operai.

Uomo di vastissima cultura, è stato un prezioso punto di riferimento, per quasi tutti i sacerdoti della Diocesi che lo hanno avuto come insegnante; per i suoi parrocchiani, ma anche per i molti amici che trovavano in lui una guida sicura e un eccezionale maestro. Studioso attento di teologia e di letteratura sia antica che moderna, affidava le sue riflessioni, prose e versi, a preziosi diari, che raramente mostrava a qualche amico.

Le opere

Oltre ai numerosi articoli apparsi su L’Osservatore Romano, e la rivista La Rocca, ricordiamo la raccolta di

poesie “Resurrectio e Vita” pubblicate su Approdo letterario, 1977, Don Flori ha scritto:

Promozione del progresso della Cultura – Chiusi 1997

Crogiolo Perenne, scritti spirituali (1995 – 1996), Piemme, 1998

Osiamo parlare a Te, Spirito vivificante . La Barca , 2009

Quaderni 1990 – Teologia Filosofia Poesia. Cittadella Editrice, 2011

L’amore risorto, Meditazioni sul mistero pasquale. Edizioni Feeria, Comunità di San Leolino, 2014

Nel 2009 a Pienza si è tenuto un Convegno su Don Fernaldo Flori : La Chiesa ed il dialogo con la cultura contemporanea, i cui Atti sono stati pubblicati da La barca di Pienza nel 2010.