Raccolta estemporanea di “pillole” di notizie e curiosità su Pienza ed il suo territorio, raccolte da siti web, giornali, riviste, libri e altre fonti. (A cura di Umberto Bindi)
Rendiamo disponibile, grazie alla pubblicazione sul portale scientifico academia.edu, un interessante articolo dal titolo “La dieta di Montova nei Registri Vaticani”redatto dallo studioso Gianmarco Cossandi e pubblicato nel volume “I Gonzaga ed i Papi” (vedi sotto). L’articolo (di 21 pagine) ricostruisce i contenuti dei documenti riconducibili al periodo del papato di Pio II presenti nei Registri Vaticani, documenti riferibili soprattutto al Concilio di Mantova, convocato nel 1459 da Papa pientino al fine di convincere i regnanti europei della necessità di contrastare l’inesorabile avanzata dell’Impero Ottomano. Di seguito l’abstract del capitolo (in inglese) e il link al testo (in italiano) da noi reso disponibile in formato pdf.
The purpose of this contributio is to propose (or propose again) some documents concerning the dieta of Mantova, found by using as research material the Vatican Registers, which represent in fact the most important tradition of the papal documents.
By using unpublished and published materials, the contribution reads some of the documents copied on the Vatican Registers, and describes some themes related, with the aim of bringing attention back to a matter, classified maybe summarily by the historiography of the twentieth-century as “the last universalist dream of the Church”.
In particular, further to the large number of documents that refer to the need of raising the necessary funds to support the project of the military campaign (or Crusade) against Turks, it seems rather significant the presence on three registers of the Execrabilis, through which the procedure of appeal to the Congress was condemned, against the Pope’s opinion. Concerning this, the contribution, recalling part of what Gian Battista Picotti formerly said, through an analysis of the different “versions” of the document, comes finally to suppose the existence of a primitive text, and to delineate its dating and publication.
Roma e le corti padane
fra Umanesimo e Rinascimento (1418-1620)
Atti del convegno Mantova – Roma
21-26 febbraio 2013
a cura di
Renata Salvarani
Libreria Editrice Vaticana
Città del Vaticano
2013
Il Centro Studi ha recuperato un articolo citato da tuti i testi e le guide che si occupano dell’antica chiesa romanica, articolo redatto per un convegno di oltre trenta anni fa e pubblicato nel 1985 da Colosci di Cortona. Si tratta del saggio della Professoressa Maria Grazia Paolini dal titolo “Un edificio di origini altomedievale dell’antica diocesi aretina” presentato al convegno del 1983 su Arezzo e il suo territorio nell’Alto Medio Evo.
L’edificio della lontana diocesi aretina non è altro che la nostra Pieve di Corsignano, citata in documenti anteriori al Mille nella disputa tra i vescovati di Siena e Arezzo, di cui la Paolini presentò un approfondito studio di quarantotto pagine ed a cui attingeranno altri autori per i loro testi, saggi e guide sull’argomento.
Rendiamo quindi omaggio alla studiosa pientina pubblicando la riproduzione in formato pdf del suo intervento, copia ottenuta dalla collaboratrice della Biblioteca Hertziana Sig.ra Ulrike Voss che ringraziamo (www.biblhertz.it).
L’intera pubblicazione degli atti è ancora in commercio grazie alla casa editrice Olschki raggiungibile all’indirizzo www.olschki.it.
Prendiamo spunto dalla mostra PIENZA NASCOSTA realizzata dal Gruppo Fotografico Pientino nel dicembre 2014 per pubblicare questo breve articolo sul deposito dell’acquedotto, che ci arriva da Orvieto. Le foto inedite degli interni, “nascosti” per decenni alla vista dei non addetti ai lavori, sono state esposte per la prima volta nella mostra citata, suscitando interesse e curiosità; le riproponiamo a corredo del contributo di Aldo Lo Presti e dell’introduzione di Umberto Bindi.
A chi si avvicina a Pienza, provenendo da Siena, la solitaria torre in pietra arenaria contenente i depositi dell’acqua appare improvvisamente, sovrastante la schiera di villette liberty che conduce al centro storico; villette costruite probabilmente negli stessi anni ’20 del Novecento. Da fuori la torre si presenta come una solida costruzione, la cui funzione non è immediatamente comprensibile.
L’articolo proposto da Aldo Lo Presti per la sezione “curiosità” del sito, riguarda un bassorilievo collocato in maniera del tutto estemporanea in una facciata del centro storico di Pienza. L’architrave in arenaria proviene, con molta probabilità, dalla chiesa di S. Maria; l’antica struttura romanica fu demolita nella metà del ‘400 per fare spazio allo costruzione del Duomo. Alcuni resti, riportati alla luce dall’ing. Barbacci nel 1932 durante l’imponente restauro della Cattedrale, furono collocati nella sottostante cripta di San Giovanni; altri frammenti si erano probabilmente dispersi nei secoli precedenti, utilizzati come materiale da costruzione (forse anche dello stesso Duomo e del Palazzo Piccolomini). Il frammento in oggetto è collacato in una facciata realizzata durante il secolo scorso, per cui potrebbe aver fatto parte di quelli rinvenuti dal Barbacci nel ’32.
Non solo i grandi (o piccoli) monumenti rendono le città parlanti, contribuendo a raccontarne la storia attirando su di sé gli sguardi dei cittadini. Altri segni, definibili minori, quando non addirittura minimi, assumono su di sé la medesima funzione. Come nel caso della Colomba nella bocca del Serpente e le palme della Passione, simbolo zoomorfo della Prudenza e della Semplicità scolpito in un bassorilievo erratico proveniente, con ogni probabilità, dalla Chiesa di Santa Maria prisca. A risolverci in questa direzione è stata la lettura del seguente brano che ha risolto ogni dubbio iconografico legata alla nostra raffigurazione:(1)
…il secondo testo sacro che parla del simbolismo del serpente nei pastorali, è quello con il quale Gesù nel Vangelo prescrive ai suoi di essere prudenti come il serpente e semplici come la colomba (San Matteo, Vangelo, X, 16): la Prudenza, figlia della Sapienza, la Semplicità, la Rettitudine sono in effetti, le qualità necessarie a coloro che hanno il carico delle anime. Qui, ancora una volta, il simbolismo cristiano dà la mano ai simbolismo più antichi che facevano del Serpente l’ideogramma della Sapienza. Su molti celebri pastorali possiamo vedere la colomba appollaiata sulla testa o persino rifugiata nella bocca del serpente, ad esempio nel pastorale dell’Abate sant’Annone di cui ha parlato P. Chaier, dove sembra che il vecchio orafo che lavorò questo bastone abbia voluto ricordare al prelato a cui il bastone era destinato, che le sue parole dovevano essere semplici, dolci e prudenti. Nel Medioevo, il simbolismo del pastorale era meglio conosciuto di quanto non lo sia oggi. Esso deriva dal precetto impartito da San Paolo a Timoteo: Riprendi, minaccia, esorta con gran pazienza e sempre istruendo (San Paolo, II Epistola a Timoteo, IV, 2).
Dall’Enciclopedia dell’Arte Medioevale dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani (1998), traiamo un secondo brano particolarmente illuminante che contribuisce a rendere la nostra iconografia ancor più intelligibile:
…il pastorale di S. Annone […], l’arcivescovo di Colonia (1056-1075) e fondatore dell’abbazia di Siegburg, fu rinvenuto, secondo la tradizione, nel suo sarcofago nel 1183; l’asta in legno rosso presenta un’iscrizione disposta sui due collarini metallici intorno al nodo: Tytyre coge pecus cecos ne ducito cecos / moribus esto gravis rector fore disce suavis / astu serpentis volucris tege simpla gementis; il tutto è sormontato da un riccio in avorio del sec. XI (forse eseguito prima del 1075) che forma esattamente un mostro dalla testa ricurva nell’atto di inghiottire un uccello.(2)
In tal modo il serpente non è solo lo strumento diabolico per far penetrare la morte nel mondo, così come narrato da Herrada de Landsberg, abbadessa del monastero di Hohenburg in Alsazia, nel suo Hortus deliciarum («Così fa il Cristo, il quale, alla fine della propria vita mortale, depone in certo qual modo la propria anima per discendere nella morte che è penetrata nel mondo ad opera del serpente; in questo modo egli distrugge i peccati degli uomini e le loro funeste conseguenze»)(3) ma anche, se non soprattutto, il simbolo della prudenza. Un simbolo che sintetizza, in base alle parole già ricordate di Matteo, la funzione esortativa del nostro bassorilievo (del tutto congruo per stile e materiale costruttivo con altri frammenti lapidei conservati presso il tesoro della cattedrale): «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe». Un passo che concorre, come detto, a farci meglio comprendere non solo l’allegoria del pastorale d’avorio di S. Annone (a riunire felicemente in una prospettiva di salvezza eterna entrambi gli animali, la colomba e il serpente) ma anche quella d’una ritrovata e ancor più dolce calamita di Pienza (visibile all’altezza del numero civico 4 di via dell’Angelo).
(1) Charbonneau-Lassay Louis Il Bestiario di Cristo. Edizioni Aikeios, Roma, 1994, p. 417.
(2)THURRE D., Pastorale, in Enciclopedia dell’Arte Medioevale, http://www.treccani.it
Il Gruppo Fotografico Pientino presente la
MOSTRA FOTOGRAFICA
PIENZA NASCOSTA
Immagini di luoghi sconosciuti nelle architetture pientine
PIENZA (SI) – PALAZZO PICCOLOMINI
23 DICEMBRE 2014 – 6 GENNAIO 2015
Nel trentesimo anniversario della nascita del Gruppo Fotografico Pientino la tradizionale Mostra di Natale ha come oggetto immagini della Pienza “nascosta”. Abbiamo cercato di raccontare luoghi che, pur facendo parte del complesso architettonico cittadino, sono difficilmente visibili o visitabili e che pertanto restano sconosciuti ai più. Tra i soggetti scelti vengono proposti anche due luoghi che il Gruppo aveva già “immortalato” con proprie mostre nel 1997 (Le Gallerie del Duomo di Pienza) e nel 1998 (Il Romitorio) ma che meritano di essere riproposti insieme ad altri soggetti inediti. Tra questi spiccano sia le volte del Duomo – con le inaspettate strutture lignee di supporto alle sottostanti volte a crociera – sia le cantine di Palazzo Piccolomini, aperte ai pientini fino agli anni Settanta ma oggi pressochè dimenticate. Di particolare suggestione è l’affaccio che da esse si gode sul grande e profondo cilindro del pozzo di Piazza PIO II. Anche le immagini delle sottostrutture del Giardino Pensile dello stesso palazzo tornano, dopo la mostra di architettura del 2001, con nuovi scatti. Seguono foto inedite dell’interno del deposito dell’acquedotto pubblico e della torre comunale dell’orologio.
Accompagna la mostra il catalogo delle immagini, integrato con brevi descrizioni dei luoghi e alcune immagini aggiuntive che non hanno trovato posto nelle sale espositive.
Il Gruppo ringrazia tutti gli Enti che hanno permesso l’accesso alle strutture fotografate; in particolare la Società Esecutori di Pie Disposizioni in Siena, proprietaria di Palazzo Piccolomini (che ha concesso anche le sale espositive), la Fabbriceria della Chiesa Cattedrale di Pienza, la famiglia Moricciani per il Romitorio, l’Acquedotto del Fiora Spa, il Comune di Pienza.
Si ringraziano altresì la Banca Cras – Credito Cooperativo di Chianciano Terme-Costa Etrusca-Sovicille, la Fondazione Conservatorio San Carlo Borromeo ed il Comune di Pienza per il costante supporto economico dato all’intera attività del Gruppo, nonché tutti i soci sostenitori.
La mostra, ad ingresso gratuito, seguirà gli orari di apertura del Palazzo Piccolomini (da MARTEDI’ a DOMENICA 10,00-16,30 – Chiuso tutti i LUNEDI’. Il 25 Dicembre ed il 1 Gennaio apertura 14,00-18,00). Durante l’apertura sarà possibile acquistare i volumi editi dal Gruppo nel corso degli anni.
Il nome Dracula evoca in molti la figura leggendaria del Conte della Transilvania, famelico vampiro protagonista di tanti testi letterari e cinematografici. Uno stereotipo di personaggio dotato di poteri sovrannaturali, avido succhiatore di sangue, signore delle tenebre, timoroso solo della croce e… dell’aglio. Tra i romanzi più famosi ispirati alla leggenda e allo stesso tempo ispiratori di altri lavori di fantasia ricordiamo il “Dracula” di Bram Stoker, scritto nel 1897, a cui fanno riferimento almeno un centinaio di film; tra i più famosi, quello di Francis Ford Coppola con Gary Oldman, Anthony Hopkins e Winona Ryder (Dracula – 1992) e quello di Neil Jordan con Tom Cruise e Brad Pitt (Intervista col Vampiro – 1994). Ma forse non tutti sanno che il Conte “Dracula” è esistito veramente con il nome nobiliare di Vlad III; naque a Sighisoara nel 1431 e morì in battaglia nel 1476. Un guerriero colto e implacabile che compì, insieme alla sua dinastia, efferati delitti e stragi indicibili. Il nome Dracula deriva dal titolo Dracul che il padre Vald II si attribuì per la sua appartenenza all’ordine del Drago (draco in latino), ordine cavalleresco nato per difendere la cristianità dalle eresie.
E forse altrettanti non sanno che Papa Pio II ha avuto per lui, nei suoi “Commentarii”, motti di orrore e meraviglia, con un pizzico di inconscia ammirazione, forse per la sua implacabile lotta contro gli eserciti ottomani. Sappiamo che Pio II aveva molto a cuore le sorti dell’Europa che stava per essere invasa dai Turchi; il papa pientino vedeva nel principe rumeno uno strenuo difensore della cristianità in quanto era uno dei pochi regnanti europei che lottava con tutte le proprie risorse contro le invasioni ottomane.
I tremendi metodi adottati per “dissuadere” i nemici e per tenerli lontani dalle sue terre valsero a Vald III l’appellativo di “impalatore” (tepes); faceva infilzare gli avversari catturati vivi, con lunghe pertiche piantate per terra, lasciandoli poi agonizzare alla vista dei compagni d’arme. La tecnica fu adottata anche nei confronti degli oppositori interni, dei popoli conquistati e di quanti provavano a contraddire la sua volontà.
Pio II cita più volte il Conte Vlad III nei suoi commentari, descrivendone le vicende tragiche e le imprese leggendarie. Forse si sono anche incontrati, a Firenze. Di fatto, entrambi si prefiggevano lo stesso fine, sconfiggere Maometto II, anche a costo di trovare con un’accordo con lui. Pio II valutò in più riprese la possibilità di usare la potenza distruttiva di Dracula per piegare gli ottomani ed era affascinato dal lato poliglotta, colto e intraprendente del conte valacco, a suo modo un umanista poliedrico e profondo conoscitore della natura umana. Ma la distanza morale tra i due era abissale e Papa Piccolomini preferì accordarsi con Matteo Corvino d’Ungheria per controllare l’esplosiva situazione danubiana. A noi restano le pagine dei Commentarii, testimonianza diretta delle vicende storiche di un personaggio che fa ancora parlare di se.
Pio II e Dracula nella letteratura rumena.
Tra gli scrittori che si sono occupati di Dracula e che hanno inquadrato in modo molto puntuale il rapporto tra quest’ultimo e Pio Il va segnalato il rumeno Marin Mincu, con il suo romanzo storico “Il Diario di Dracula” (Bompiani, 1992 – Prefazione di Cesare Segre, con uno scritto di Piero Bigongiari Copertina: Hieronymus Bosch, Giudizio finale (part.), Accademia, Vienna). Riportiamo il commento al volume ad opera di Bigongiari: La vera storia del personaggio che ha dato origine alla leggenda nera del vampiro. Questo romanzo del rumeno Marin Mincu rievoca la figura storica di Dracula, il “voivoda” Vlad III, sanguinario e dispotico guerriero che Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, incoraggiò e ammirò nella speranza di farne il condottiero della lotta contro i Turchi. In un insolito affresco fra tardogotico e rinascimentale, sullo sfondo lo scontro fra Cristianità e Islam, Dracula in prima persona racconta le trame dinastiche di cui fu vittima e riflette sull’ambiguità del rapporto tra l’abietto e il sublime nell’azione. Imprigionato sotto il Danubio nella torre di Salomone, il principe valacco rivive i suoi più terribili misfatti, vagliando i documenti storici che hanno nutrito la sua fama sinistra, e «lo può fare, perché il Dracula di Mincu è, come lo fu veramente il “voivoda”, un uomo di cultura e un poliglotta, un umanista trascinato all’azione da un destino più subìto che voluto» (C. Segre). «È un libro dunque che si può persino definire edificante, nella riscrittura della degradazione e dell’orrore di fatti reputati come veridici?» (P. Bigongiari).
Pubblichiamo una sintesi dell’articolo redatto da Alfiero Petreni per il periodico “l’Araldo Piliziano”, riguardante la ricollocazione del medaglione celebrativo del sesto centenario della nascita di Pio II.
Sabato 28 giugno 2014 nel cortile interno del Palazzo Borgia, ingresso del Museo Diocesano di arte Sacra di Pienza, è stato scoperto il medaglione in bronzo raffigurante Papa Pio II, opera dello scultore Piero Sbarluzzi. Il medaglione fu commissionato nel 2005 allo scultore Sbarluzzi dall’ora Presidente del Lions Tamborella, in occasione del sesto centenario della nascita di Enea Silvio Piccolomini, (1405 – 2005) e posto in Piazza di Spagna sul retro del Palazzo Comunale. Fu quella una posizione non ottimale per la piena valorizzazione dell’opera, frutto di un compromesso tra il Comune, che la voleva sotto il portico del Palazzo Comunale e la Soprintendenza di Siena che impose invece Piazza di Spagna, per non alterare l’equilibrio delle lapidi già presenti nel Palazzo. Per questo in occasione delle nuove celebrazioni per Pio II, quest’anno ricorrono infatti cinquecentocinquanta anni della morte del papa, l’Amministrazione Comunale, in pieno accordo con la Soprintendenza, grazie ancora una volta alla sensibilità del Lyons, ha deciso la nuova collocazione nel cortile di ingresso al Museo. Una collocazione molto bella e ben inserita nel contesto che consente una migliore lettura dell’opera di Sbarluzzi. Il Vice sindaco Colombini, dopo aver ringraziato il Lyons, per questa importante operazione, ha trattato la figura e la vita di Enea Silvio Piccolomini, sia come Pontefice illuminato: ideatore e creatore di Pienza, sulla spinta del mito della Renovatio, dei grandi pensatori del quattrocento: Filelfo, Cusano, Marsilio Ficino, attivo difensore della cristianità dagli attacchi dell’Islam (bandì, senza successo causa la sua morte, una Crociata contro in turchi, autore di una lettera a Maometto II, con la quale gli prometteva la sovranità terrena di tutti i territori cristiani, se si fosse fatto battezzare), disegnò una ristrutturazione politica, economica e religiosa di tutta l’Europa, sia come umanista: eccelso poeta e scrittore, attento all’uomo ed al suo destino, le cui opere letterarie in un latino colto e raffinato, dopo la sua morte furono a lungo osteggiate dalla Curia Romana.
Uomo del suo tempo, studioso, viaggiatore, autore di scrupolose descrizioni della vita dei vari popoli, seppe scegliersi validi collaboratori, tra i migliori filosofi, pensatori, ed artisti del suo tempo.
Fausto Formichi, architetto con la passione innata per Pienza, ha poi illustrato l’opera dello Sbarluzzi, ricordandone le elevate doti artistiche che gli hanno valso l’apprezzamento dei più noti critici dell’arte moderna: Mario Luzi, Vittorio Sgarbi, Antonio Paolucci, Leone Piccioni, Roberto Vigevani, Graziella Magherini.
Il nome di Piero Sbarluzzi, per il valore delle sue opere, ha detto Formichi, può benissimo accostarsi a quello di Pio II, creatore con l’aiuto di Leon Battista Alberti e del Rossellino, della realizzazione di Pienza dove l’uomo è il centro di un disegno filosofico e religioso.
Formichi, che in collaborazione con la Soprintendenza, ha condotto la nuova collocazione del medaglione, ha poi illustrato il progetto avanzato dalla Pro–Loco, che propone di posizionare nel giardino di Pienza la grande scultura in bronzo di Sbarluzzi: l’Incontro, raffigurante due persone a cavallo l’uno di fronte all’altro che si incontrano, si parlano. Pienza è il luogo dell’incontro per eccellenza e l’opera dello Sbarluzzi, posta al giardino di Piazza dante Alighieri, magico luogo di memorie, e di ingresso alla città, è il posto ideale per la nostra comunità per la nostra cultura.
Brevi e commosse le parole dello scultore Piero Sbarluzzi, che si è detto onoratissimo per la nuova posizione del medaglione di Pio e per le parole (a suo dire, esagerate) dette dagli oratori.
In chiusura una piccola curiosità sul Palazzo Borgia, ora nuova sede del medaglione di Pio II.
Come noto, Pio II, oltre che realizzare la Cattedrale ed il suo Palazzo, “invitò” tutti i cardinali a costruire un proprio palazzo nella nuova città di Pienza. Cosa che tutti fecero. Pio però, che conosceva l’animo dei suoi cardinali, comprò lui stesso il vecchio Palazzo Pretorio situato a sinistra della cattedrale e lo assegnò al cardinale Rodrigo Borgia, il futuro Papa Alessandro sesto, affinchè lo demolisse e lo ricostruisse in forma moderna. Ma l’astuto Borgia “al quale già altre volte n’è stata data battaglia e lui sempre havea cercato di subtefugere più che possibile”, non distrusse il vecchio edificio, ma si limitò semplicemente a trasformarlo.
La nuova collocazione dell’effige di Pio II, può forse essere letta oggi, come una piccola tardiva rivincita del Piccolomini, sul Borgia?
Tutti coloro che entrano nel Duomo di Pienza non mancheranno di notare un forte abbassamento del pavimento in prossimità dell’abside, la presenza di rinforzi delle arcate del transetto di sinistra e di crepe nelle pareti.
Il grave problema di cedimento del terreno su cui poggiano le fondamenta del Duomo di Pienza ed il relativo abbassamento dell’abside di oltre un metro, venne alla luce già durante la cerimonia di inaugurazione, tanto che il Rossellino, alla richiesta di spiegazioni, dovette giustificare i segni di cedimento come “crepe dell’intonaco ancora fresco”. Oggi il Duomo dopo oltre 550 anni, è ancora in piedi, grazie ad interventi che hanno tamponato la situazione ma che non l’hanno risolta; l’abside si abbassa ancora, molto lentamente ma inesorabilmente.
Purtroppo non si tratta di un problema strutturale (forse risolvibile con interventi sull’immobile) ma è il terreno su cui poggiano le fondamenta a muoversi verso il basso, sia sotto il Duomo che lungo tutto il crinale sud-ovest di Pienza: il giardino pensile di Palazzo Piccolomini, alcune case limitrofe e l’intero quartiere di Gozzante sono sottoposti a movimenti e crepe dei muri portanti. Nei secoli, molti si sono occupati del consolidamento del Duomo ma, fra tutte le proposte e gli interventi eseguiti, quella forse più curiosa è stata quello dell’Ing. Socini del 1909. La proposta fu formulata con un articolo nella “Rivista d’Arte” (Anno VI, n. 2 Marzo – Aprile 1909) nell’anno immediatamente precedente all’inizio degli imponenti lavori di sottofondazione diretti dall’Arch. Alfredo Barbacci. L’ing. Socini, nel suo intervento, suggerisce una soluzione drastica; smontare l’abside, ricostruire le fondamenta e rimontare il tutto con gli stessi materiali.
Il consiglio non fu seguito e si collocò nel novero delle curiosità sul Duomo; nel 1911 iniziarono i primi lavori di sottofondazione che si protrassero fino al 1934. Altri lavori furono necessari agli inizi degli anni Sessanta.
Ecco il testo della proposta:
“[…] Quali potrebbero essere i provvedimenti da adottarsi per evitare una prossima o lontana, ma prima o poi sicura rovina dell’artistico edificio? Molto se ne è parlato nel corso di più secoli, ma nessuna proposta sicura e completa è stata mai avanzata. Come ho già avuto occasione di accennare, più volte si e tentato di arrestare il lento progressivo movimento della parte absidale della chiesa, prima con una galleria fognante, poi con solido muro a sprone a retta della parte scorrevole, e infine con l’imbrigliamento mercè forti catene di ferro ; ma tutto ciò è risultato affatto efficace. […] In una lettura fatta all’Istituto Germanico di Storia dell’arte ebbi occasione di enunciare una proposta sulla questione del Duomo di Pienza.
Dopo aver costatato come sino ad ora non sia stato possibile escogitare un espediente tale da impedire lo sprofondamento e l’eventuale rovina della tribuna; e dopo avere ammesso, – cosa che io ritengo certa – la impossibilità di trovare un provvedimento che, pur lasciando l’edificio quale ora apparisce, dia assicurazione per il necessario e definitivo suo consolidamento, giustificando in pari tempo l’ingente spesa indispensabile; e data pure la conseguente previsione che in epoca più o meno lontana, per legge naturale, la parte absidale, oggi distaccata e calata oltre novanta centimetri, franasse nella sottostante valle; tenuto presente tuttociò, domandavo, cosa si farebbe allora ?
Si ricostruirebbe in più solide fondamenta, come si fa per il Campanile di Venezia, perché di certo nessuno ammetterebbe che quel bell’esempio di architettura restasse allo stato di rudere o mutilato della parte sua più bella.
E allora perché non possiamo, anzi non dobbiamo, previdenti e solleciti, fare noi ciò che inevitabilmente farà la natura, e con evidenti maggiori danni a cagione di quell’incatenamento che si porterebbe dietro buona parte della Chiesa e forse anche il Campanile? Smontare e ricostruire integralmente con gli stessi pietrami e materiali quella parte dell’edificio per aver modo di costruire un piano stabile e compatto, ove poter piantare su solide fondamenta i pochi muri dell’abside, è cosa facile e di sicuro esito, e nemmeno di una sproporzionata e insostenibile spesa. Né deve sembrare strana e insostenibile la proposta, limitata alla ricostruzione di ben piccola parte di un edificio che a tutti sta a cuore, non solo per la sua bellezza, ma per l’interesse che ha per la storia dell’architettura. Deve anzi sembrare ormai più che frustaneo, temerario, date le sopra descritte condizioni del suolo e dell’edificio, qualunque altro lavoro che si volesse tentare nelle viscere della terra. […] Con la proposta ricostruzione eseguita con gli stessi antichi materiali, si avrebbe poi anche il grande beneficio estetico di ritornare al pristino stato quella parte di edifizio, attualmente sformata nei suoi archi, nei suoi bellissimi e svelti piloni a fascio di colonne, nelle sue caratteristiche finestre bifore e trifore, e di correggere in pari tempo anche il deturpante dislivello prodotto dall’abbassamento del terreno.
Certo è che l’opera rosselliniana non potrà restare ancora molto tempo nelle pericolose condizioni presenti; e perciò mi auguro che questo mio scritto, sia, se non altro, incentivo a qualche positiva proposta atta alla conservazione dell’insigne monumento.”
A. SOCINI
Attualmente il Duomo è costantemente monitorato con sensori elettronici che misurano gli scostamenti delle crepe delle pareti absidali e dei pavimenti; l’ultima proposta di consolidamento – avanzata da una ditta specializzata – prevederebbe l’inserimento di martinetti idraulici in tutto il perimetro esterno ed interno dell’abside per contrastare la discesa del terreno. Ad oggi non si hanno notizie di lavori programmati e finanziati.
Sono ormai passati quasi dieci anni dalle celebrazioni per il sesto centenario della morte di Pio II; ma dove è sepolto Papa Piccolomini? Ecco una breve cronaca sulla travagliata storia della salma del Pontefice.
Nell’agosto del 1464, papa Pio II si trovava ad Ancona dove attendeva gli alleati per intraprendere la crociata contro i Turchi ma proprio qui trovò la morte il 14 agosto. Il suo corpo fu sepolto in una tomba terragna all’interno della cappella di San Gregorio Magno nell’antica basilica di San Pietro in Vaticano che, come è noto, accoglieva i successori di Pietro. La tomba era corredata da un monumento funebre parietale in marmo caratterizzato da sarcofago e iscrizione.
Medesima collocazione fu riservata a Pio III deceduto a Roma il 18 ottobre 1503 e nipote del pontefice.
Durante il pontificato di papa Paolo V, e propriamente tra il 1614 e il 1615, i monumenti funerari dei due pontefici Piccolomini furono trasportati dalla basilica di San Pietro alla chiesa di Sant’Andrea della Valle mentre le loro salme furono traslate solo successivamente.
Il 6 gennaio 1623, a “due ore di notte e nulla adibita pompa”, i resti mortali venivano riposti entro cassette sotto il pavimento della tribuna nella già citata chiesa di Sant’Andrea.
Fu nel 1758, durante i lavori di rifacimento del pavimento che le ossa furono scoperte ma, nuovamente sotterrate, non sono state mai più ritrovate.
I sarcofaghi, collocati fin dagli inizi del XVII secolo sopra i due archi che collegano la navata principale con quelle laterali, sono quindi sempre stati vuoti.
Il monumento parietale di Pio II, realizzato da Paolo Sacconi nel 1470 circa, è posto sul lato sinistro della navata; due angeli sostengono lo stemma pontificio costituito da croce negra sormontata da cinque lune d’oro.
Nel primo riquadro sono scolpiti la Vergine, il Bambino, Enea Silvio Piccolomini – futuro papa Pio II – in abiti cardinalizi oltre ai Santi Pietro e Paolo. Nel secondo riquadro, il pontefice è scolpito disteso sull’urna sepolcrale, in cui sta scritto PIUS PP II. Nel terzo, la solenne processione del 12 febbraio 1462 per il trasporto del capo di Sant’Andrea da ponte Milvio alla basilica vaticana. Lateralmente, in apposite nicchie, sono scolpite in alto rilievo sei virtù: la Scienza con la face, la Fortezza con la colonna, la Prudenza col serpente, la Giustizia con la spada, la Fede col calice e la Carità coi bambini.
Il monumento è corredato da due iscrizioni latine che narrano la carriera del pontefice e la definitiva sistemazione del monumento nel 1614.
Non sappiamo se la scelta della chiesa di Sant’Andrea della Valle fu dettata dalla circostanza che il Santo è patrono della Città di Pienza.
SANT’ANDREA DELLA VALLE
La chiesa di Sant’Andrea della Valle si trova in Corso Vittorio Emanuele II nei pressi di Piazza Navona. Eretta a partire dal 1591 fu consacrata solo nel 1650. All’interno della chiesa si conservano gli affreschi del Domenichino con le storie di Sant’Andrea e, nella curva dell’abside, una imponente crocifissione del Santo, di Mattia Preti (1650-51).